Comportamenti del pedone secondo le norme del codice della strada

Incidente causato da macchia d’olio sull’asfalto: ciclista denuncia il Comune

È importante sottolineare come il pedone, pur rappresentando l’utente debole per eccellenza durante la circolazione su strada, e da tutelare in quanto tale, non è esente dall’osservazione delle norme del codice della strada, esattamente come automobilisti, motociclisti, ciclisti, camionisti, ecc.

In tal senso la giurisprudenza ha adottato un orientamento preciso sui comportamenti del pedone attraverso sentenze che sono state in grado di rilevare, in casi di sinistri stradali, l’elevata percentuale di responsabilità di persone che, sebbene circolassero a piedi o nelle apposite strisce pedonali, hanno concorso attraverso la propria condotta alle cause dell’incidente, attenuando così o, in alcuni casi, annullando le colpe dei conducenti dei veicoli a motore.

L’articolo 2054 del Codice Civile sancisce sui conducenti una presunzione di responsabilità; nel caso in cui, tuttavia, si accerti che il comportamento del pedone sia da considerarsi anomalo o imprevedibile è possibile provare il concorso di colpa o l’esclusiva responsabilità dell’investito.

Durante il processo di valutazione e quantificazione delle responsabilità, i giudici sono tenuti a partire dal presupposto secondo cui la colpa del conducente è pari al 100%, per poi verificare il comportamento del pedone e, in caso siano constatate circostanze rilevanti che abbiano avuto un’incidenza importante nell’impatto, diminuire la percentuale di colpa presunta del conducente del veicolo.

In qualunque caso, rimane sempre un dovere del conducente dimostrare che il comportamento del pedone sia stato una delle cause dirette nel determinare il sinistro stradale.

Attualmente è sempre più diffusa l’abitudine da parte dei pedoni di utilizzare il cellulare mentre camminano, determinando così uno stato di disattenzione.

A tal proposito, è stata causa di un discreto scalpore la sentenza n. 380 del 7 giugno 2019 pronunciata dal Tribunale di Trieste in cui, per la prima volta in Italia, in forza di un concorso di colpa, ad una donna investita è stato decurtato dell’80% il risarcimento per aver attraversato la strada senza prestare attenzione in quanto impegnata a parlare al cellulare.

La vittima in questione si trovava sul marciapiede, in corrispondenza di una fermata dell’autobus, all’arrivo del quale aveva fatto cenno di fermarsi.

Il conducente del mezzo aveva tuttavia eseguito l’arresto del veicolo ad alcuni metri di distanza dal marciapiede a causa della presenza lungo quest’ultimo di alcuni veicoli in sosta. Per poter raggiungere il mezzo la donna aveva dunque dovuto spostarsi camminando velocemente sul marciapiede e poi scendendo dallo stesso.

Proprio in quel momento è stata urtata da un’auto impegnata in una manovra di sorpasso, causando così un incidente che le ha riportato traumi agli arti inferiori. La vittima ha dunque citato in giudizio il conducente nonché proprietario del veicolo, non assicurato, e il Fondo di Garanzia per le vittime della strada chiedendo un risarcimento corrispondente a oltre cinquemila euro.

Al respingimento in primo grado, la danneggiata è ricorsa in Appello presso il Tribunale di Trieste, il quale ha deciso di riconoscere solamente una parte ridotta della sua richiesta sulla base di quano sopra accennato.

La sentenza premette che, in caso di investimento del pedono, è necessario ricorrere all’applicazione dell’art. 2054 del Codice Civile che, al comma 1, prevede che “il conducente di un veicolo senza guide di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno”.

E’ ribadito inoltre che “la prova liberatoria di cui all’art. 2054 c.c., nel caso di danni prodotti a persone o cose dalla circolazione di un veicolo, non deve essere necessariamente data in modo diretto, cioè dimostrando di avere tenuto un comportamento esente da colpa e perfettamente conforme alle regole del codice della strada, ma può risultare anche dall’accertamento che il comportamento della vittima sia stato il fattore causale esclusivo dell’evento dannoso, comunque non evitabile da parte del conducente, attese le concrete circostanze della circolazione e la conseguente impossibilità di attuare una qualche idonea manovra di emergenza”.

I giudici quindi sottolineano come l’attraversamento della strada in corsa del pedone, pur avvenendo sulle apposite strisce pedonali, che si immette nel flusso di vetture che procedono secondo le velocità imposte dalla legge, “pone in essere un comportamento colposo che può costituire causa esclusiva del suo investimento da parte di un veicolo, ove il conducente, su cui grava la presunzione di responsabilità di cui alla prima parte dell’art. 2054 c.c., dimostri che l’improvvisa ed imprevedibile comparsa del pedone sulla propria traiettoria di marcia ha reso inevitabile l’evento dannoso, tenuto conto della breve distanza di avvistamento, insufficiente per operare un’idonea manovra di emergenza”.

Quello appena citato non è tuttavia un caso isolato: una sentenza simile, la n. 2547/19, è stata infatti emessa anche a Milano l’11 giugno 2019.

Due uomini in evidente stato di ebbrezza che si trovavano nei paraggi di un’area di servizio in provincia di Ferrara avevano attraversato la strada durante la notte, sotto la pioggia, indossando abiti scuri: in questo caso la responsabilità dell’investimento avvenuto è stata condotta a loro per aver sottostimato i rischi dell’attraversamento.

Secondo l’articolo 190 del Codice della Strada, ai pedoni è imposto di servirsi degli appositi attraversamenti pedonali, dei sottopassaggi o, qualora questi non siano presenti o distino più di cento metri, di attraversare solamente in senso perpendicolare, prestando la dovuta attenzione al fine di evitare di generare situazioni di pericolo per sé o per gli altri e, in ogni caso, dando la precedenza ai conducenti.

Ecco come la sentenza n. 18679 del 3 ottobre 2018 pronunciata dal Tribunale di Roma ha del tutto respinto le richieste di risarcimento da parte di una signora investita da un veicolo per essersi ‘buttata’ al centro della strada per inseguire il proprio cane sfuggito al guinzaglio.

Infine, la sentenza di Cassazione n. 18593/19 depositata il 10 luglio 2019 attribuisce al pedone la cosiddetta ‘azzardata collocazione’ in strada.

Una donna che si trovava a bordo strada era stata vittima di un investimento da parte di un’auto il cui conducente era impegnato in una manovra di retromarcia e aveva effettuato una richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali riportati.

La sua domanda è stata accolta dal giudice di pace solamente parzialmente: le è stato infatti riconosciuto un concorso di colpa equivalente al 40% che ha quindi ridotto l’importo che conducente del veicolo e assicurazioni sarebbero stati condannati a corrispondere.

Il Tribunale ha respinto altresì la richiesta in appello, secondo il sopracitato principio sulla cui base si afferma che, in caso di investimento, il comportamento del pedone può effettivamente renderlo corresponsabile del sinistro nel caso in cui ne si accerti l’imprudenza e la pericolosità.

Nel caso specifico era stato appurato che la posizione del pedone, che in quel momento si trovava ferma in una cunetta e, quindi, non sul marciapiedi ma su un avvallamento della sede stradale, rappresentasse una posizione anomale che la rendeva poco avvistabile e maggiormente esposta al pericolo di investimento.

La vittima in questione è quindi ricorsa in sede di Cassazione, dove tuttavia è stata confermata la decisione dei precedenti gradi di giudizio.

La Suprema Corte ha infatti sottolineato come alla donna fosse stata contestata la violazione delle regole di prudenza imposte dal Codice della Strada, in particolare dell’art. 190, primo comma (“i pedoni devono circolare sui marciapiedi, sulle banchine, sui viali e sugli altri spazi per essi predisposti; qualora questi manchino, siano ingombri, interrotti o insufficienti, devono circolare sul margine della carreggiata opposto al senso di marcia  dei veicoli in modo da causare il minimo intralcio possibile alla circolazione”) e quarto comma (“è vietato ai pedoni sostare o indugiare sulla carreggiata, salvo i casi di necessità”).

La violazione in questione non è stata peraltro registrata in modo a sé stesso, valutando la concreta pericolosità assunta rispetto alla capacità del conducente di localizzarla e quindi all’imprevedibilità  della presenza del pedone, e arrivando a determinare la sussistenza di un apporto concausale del sinistro stradale, riconducibile alla condotta della vittima, ovvero di un concorso di colpa nella misura del 40%.

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Pietro

Mi chiamo Pietro Orlando, avevo 63 anni, e finalmente mi stavo godendo la pensione, quando un incidente stradale d’un tratto mi ha cambiato la vita. Una macchina che attraversava il paese nel senso opposto al mio, ha mancato una precedenza e svoltando mi ha colpito in pieno.

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